Del “Ci risiamo!” e dei miei fantasmi su un nuovo lockdown

Cara Serena, cara me stessa nella versione prima dell’epoca del #iorestoacasa, torno a scriverti perché molto probabilmente il coronavirus fra poco ci mette di nuovo in lockdown. Siamo già al coprifuoco alle 23, bar e ristoranti aperti fino alle 18 e totale chiusura di palestre, cinema e teatri. Con le autorità che raccomandano di muoversi solo per necessità è presto detto che ci risiamo! lockdown 2

Nella mia testa ho sempre riservato un posticino all’eventualità di un nuovo lockdown. La costante presenza di questo fantasma mi conforta e mi angoscia allo stesso tempo. Mi dico: ora non sarebbe la prima volta, credo di poter contare ancora sulla mia creatività per resistere e sperare in un tempo migliore.

Il guaio è che un lockdown arriva all’improvviso e non si sa mai quando finisce. Ultimamente ascolto con apprensione il bollettino delle 18.00 di contagi e vittime. Questi numeri sono tornati a regolare la nostra vita con chiusure e limitazioni che di giorno in giorno sono maglie sempre più strette. Quanto si può resistere chiusi in casa d’inverno? Mi rattrista immaginare un inverno senza poter camminate nella neve e senza viaggi. L’istinto che mi è rimasto dal lockdown di marzo-aprile-maggio è l’insaziabile bisogno di aria aperta e paesaggi naturali. Negli ultimi giorni allungo le mie camminate, come se dovessi mettere da parte una scorta dei passi che riesco a fare fuori casa.

Da meno di un mese ho rinnovato l’iscrizione in palestra e dato conferma per l’abbonamento alla stagione di prosa del Teatro Donizetti, avevo anche ripreso ad andare al cinema, ma nel giro di poco ci risiamo, è già tutto chiuso. Il mio pensiero non va ai soldi persi ma alla preoccupazione che queste realtà e chi ci lavora non reggano una nuova chiusura.

Io torno a lavorare in smart working. Il rientro in ufficio di metà settembre è stato sì difficile per tutte le regole anti contagio – farsi provare la temperatura prima di entrare, portare la mascherina tutto il tempo, parlare con le persone dietro una barriera di plexiglass – eppure essere di nuovo in ufficio è stata una piacevole ventata di normalità, come se si fosse riaccesa la luce nel mondo esterno, una breve illusione che le cose avessero ripreso a girare come sempre. Un giorno a settimana era comunque rimasto in modalità agile, ma da questa settimana sono già diventati tre. E, credimi, ora che ho vissuto entrambe le realtà ti confermo che il lavoro può stare ovunque ma possibilmente non a casa. Mi capita a volte di guardare fuori dalla finestra e chiedermi dove sono, sto lavorando da casa o dall’ufficio? Disorienta parecchio mescolare gli spazi. È ovvio però che in caso di lockdown mi riterrò fortunata a poter lavorare da casa, soprattutto se penso a chi con questa incertezza vede traballare la sua attività.

Ti confesso però che l’idea di un nuovo lockdown a volte mi dà pace. In tutte le disgrazie che ci ha portato questo coronavirus, di buono c’è che ha svelato la grande falsità del poter avere il controllo della nostra vita. Di colpo arriva lui, una minuscola particella invisibile e paralizza il mondo. E allora che senso ha correre e riempirsi di cose da fare? Per me questo è un invito all’essenziale: meno cose puoi fare e meno é ciò di cui hai bisogno e più affannarsi é inutile. Questo tempo è uno stimolo a inventarmi modi nuovi di gestire il tempo e vivere gli spazi senza dare mai per scontato quel che ho: la salute, la mia famiglia, il mio lavoro, una casa. Tra l’altro stando di più a casa mi sono accorta di zone oscure dove da anni riposano oggetti che neanche sapevo più di avere e pian piano me ne sto liberando.

Questo è un tempo di incertezza in cui la testa non ha mai pace. È un vento che continua a far cadere il mio castello di carta. È un continuo mettere a fuoco la realtà per orientarsi su come stare al mondo. Perché è questo credo che stiamo facendo tutti: vivere perennemente all’erta cercando di capire cosa si può fare e cosa no, dove si può andare e dove si può stare. Bisogna essere sempre informati su regole che continuano a cambiare e farsi un esame di coscienza per essere sicuri di muoversi senza essere fuori legge e preservando se stessi e gli altri. Ormai quando esco se non ho la mascherina d’improvviso mi sento come se fossi uscita per strada in ciabatte d’inverno. Come sai la mascherina, questa museruola inespressiva, è una delle cose a cui faccio più fatica ad abituarmi, eppure alla fine è diventata una precauzione automatica come le scarpe.

Al momento è così e se quest’aria di incertezza non strappa certezze fondamentali probabilmente si tratta solo di resistere. Che dirti? I viaggi posso aspettare, all’estero la situazione non è molto meglio di quella italiana. È già stata una gran fortuna potersi muovere quest’estate. Libri da leggere ne ho, ho fatto una piccola scorta proprio negli ultimi giorni. Quel che mi preoccupa è che ci tolgano la possibilità di camminare all’aria aperta. E se così sarà ho solo da sperare che duri poco.

La vera urgenza che ho in questo complicato tempo di incertezza è la ricerca di un posto sicuro, un angolino dove il pensiero del virus non c’è, non ci sono il numero dei contagi, le polemiche, la mascherina, le mani igienizzate. Questo angolino come sai sono il camminare immersa nella natura, scrivere, leggere o guardare un film. E allora mi consola sapere che gran parte di queste cose le raggiungo senza andare tanto lontano da casa. Alla faccia di un altro stramaledettissimo lockdown, che comunque spero non arrivi!

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Del “Ci risiamo!” e dei miei fantasmi su un nuovo lockdownultima modifica: 2020-10-29T23:17:40+01:00da lesenedelase
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