Finito lo smart working torna la vita di sempre e allora cos’è cambiato?

Con il rientro in ufficio la mia vita ha ripreso ad essere più o meno quella di prima. Potrei quasi convincermi di essermi infilata in un tunnel a metà marzo ed esserne uscita come se nulla fosse a metà settembre. So che non è così ma è strano che ora affiori un senso di delusione. nuvola e montagna

A metà settembre sono tornata più o meno dov’ero prima della pandemia: la sera preparo il pranzo per il giorno dopo, la mattina esco di corsa nel buio per andare in ufficio e prima di cena ho giusto il tempo per la spesa o una camminata. Sui mezzi o per strada incontro le stesse facce preoccupate e scontente di prima, anzi ora hanno una museruola di pezza che aggiunge un’aria di malaticcia rassegnazione uguale per tutti.

Sono delusa perché non è cambiato niente. E di questo invece dovrei gioire: io sto bene, la mia famiglia sta bene, ho ancora il mio lavoro, per sei mesi ho lavorato al sicuro da casa e a giugno ho traslocato lo smart working a Manerba del Garda. E allora come posso avere il coraggio di sentirmi addirittura un po’ delusa? Sicuramente la vita è diventata un po’ più complicata: ovunque piovono regole anti contagio e in aggiunta come ho già scritto qui in ufficio sono diventata più ingombrante. E se penso a qualche viaggio devo lasciare in sospeso le mete all’estero.

Non devo dimenticare che quest’estate sono riuscita a fare cose che a maggio erano dei grandi punti di domanda: la vita da spiaggia, viaggiare, soggiornare in un albergo, tante ore all’aria aperta. Da due settimane sono finalmente uscita dalla claustrofobia dello smart working, eppure la gioia di poter tornare a fare le cose di sempre è indebolita da un fondo di delusione. Del resto cosa pensavo? Che l’emergenza Covid19 dovesse offrirmi un svolta? O chissà magari addirittura un premio per non essere stata travolta da quel vortice di malattia, morte e disperazione che ha colpito Bergamo, la mia città! galleria strada Ponale

Credo che il problema stia nella comunicazione tra ciò che succede fuori e ciò che in me dovrebbe cambiare. Probabilmente sono delusa da me stessa perché non ho ancora afferrato il messaggio di questo tempo di paura e incertezza.

Se provo a pensarci una parte del messaggio, sono sicura, riguarda la memoria: non dimenticare quel che è successo! A volte questa fretta di voler voltare pagina un po’ mi spaventa. Io sento il bisogno di rallentare, camminare più piano, soffermarmi meglio sui pensieri e sulle cose che ci sono da fare tutti i giorni, senza frenesia e lamenti, dovrei ricordare a me stessa che c’è stato un tempo, pochi mesi fa, in cui cose ovvie come pranzare con la mia famiglia o una passeggiata all’aria aperta non si potevano fare.

Un’altra parte del messaggio credo abbia a che fare con le cose veramente importanti: impara a stringere forte quel che hai e se sei tornata alla tua solita vita vuol dire che ti è rimasto molto! Da due settimane sono rientrata in ufficio e ogni giorno mi sembra venga scritta una nuova regola anti contagio, ovunque ti giri ricevi indicazioni: dai superiori, dai responsabili della sicurezza, colleghi, portinai, addetti alle pulizie. Mentre provo a riprendere il ritmo, in questa nuova realtà sono delusa probabilmente perché inizio a sentirmi addosso anch’io la faccia preoccupata e scontenta.

Sento il bisogno di semplificare e alleggerire. Quando penso a quel che c’è da fare, allo svolgersi delle relazioni – spesso appesantite da polemica, narcisismo o bisogno di controllo – ma anche quando penso soltanto agli oggetti che porto con me ho un forte desiderio di eliminare quel che non serve, di lasciar andare tanti fronzoli.

E allora forse la mia delusione e le nostre facce hanno una spiegazione diversa. In realtà tutti abbiamo l’aria affaticata di chi da mesi attraversa questa tempesta a suon di tentativi, di chi spera che il peggio sia passato, di chi supplica un po’ di pietà e si augura che l’assedio di questo virus stia allentando la sua morsa. fiore crocus

Forse ora siamo un esercito di persone che provano a ripartire da quel che sono, raccogliendo i cocci più o meno fortunati della loro normalità. Persone che resistono e coltivano resilienza.

I cambiamenti forti nelle guerre sono ferite. Per chi invece cerca di sopravvivere o chi, come me, ha addirittura l’immensa grazia di essere sulla stessa strada di prima, il cambiamento non può essere una folgorazione ma un lento cammino in cui si sommano piccoli tentativi di cambiamento.

E poi devo ricordarmi quanto è fondamentale in tutto questo la scrittura, scrivere è un’occasione preziosa di memoria, cambiamento e resilienza. I miei tentativi e cambiamenti li trovo nel diario di tutti i giorni e in questo blog, qui da marzo ad oggi ci sono le lettere a me stessa, i racconti dei luoghi, i libri. Qui trovo la memoria di quel che è successo, insieme alla creatività e alla ricerca dell’entusiasmo e perché no anche le delusioni. In fondo anch’esse sono scintille di memoria, resilienza e cambiamento.

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Finito lo smart working torna la vita di sempre e allora cos’è cambiato?ultima modifica: 2020-09-30T22:47:42+02:00da lesenedelase
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