Freccia di cupido: la rovina

Con il sole e l’aria di settembre si sta bene qui. Peccato che le giornate abbiano così fretta di accorciarsi. Se potessi le riaprirei come ad oppormi ad un sipario che lentamente si chiude, per scongiurare con tutta la mia forza il ritirarsi della luce che si avventura timidamente oltre il tardo pomeriggio. E’ proprio vero che le cose si impara ad apprezzarle quando non ci sono più. Nuovo_1_cuore

Sono di nuovo qui, nell’oasi della mia città, in attesa, di chi non so, dato che non ho appuntamenti. Mi sono portata l’ipad, un libro e L’Eco di Bergamo di giovedì, per rileggere l’articolo e una bottiglia d’acqua. Se punto oltre le piante e i portici, l’occhio inquadra, come il binocolo di un guardone, la vetrina di Balzer, il porto sicuro dove attraccare ad ogni ora per saziare peccati di gola e stuzzicare gli attacchi famelici dolci e salati del fuori pasto.

Ho deciso di venire qui, dove li ho conosciuti e cancellare tutti i loro nomi dalla rubrica. Testimone, ora come allora, il laghetto dei cigni (neanche loro ci sono più!). L’acqua a specchio, che riprendeva nitidamente i nostri primi scambi di battute, adesso riflette me: sola, delusa e perplessa.

Il primo fu Giacomo. Gennaio di due anni fa. Appena l’ho visto con il suo sorrisone incastrato tra la sciarpona di lana dalle tinte jamaicane e il berretto argentato targato NY, ho pensato a quale pizzeria potesse incorniciare la nostra prima chiacchierata, senza attirare più occhiate di quelle che già mi sentivo addosso. Mi vergognavo a stare seduta faccia a faccia in un tavolo per due, ad ascoltare il quarantenne varesotto che mi ricordava tanto Jay z. rapper

A pensarci bene, sicuramente era più autentico e interessante di Fabio, il ragioniere smilzo  abbigliato come il tenente Colombo. L’eroe acclamato all’unanimità dai colleghi in quanto unico temerario in grado di tenere a bada gli scatti d’ira di una capo ufficio egocentrica e pasticciona. Quando gli ho stretto la mano, per dirgli addio, ho avuto paura di sentire tac e di ritrovarmi in dono la sua mano: fredda, rigida e con la presa da manichino.

Con Adriano, l’imprenditore milanese, ho trascorso tutta la serata su questa panchina. <<Mi piace molto chiacchierare>>, mi diceva, <<quale location migliore di una panchina in un parco, di fronte ad un laghetto bello come questo? Sembra quasi di stare al mare!>>. Il lungo dialogo notturno, in una notte di mezza estate, ci ha completamente estraniati dai riferimenti spazio-temporali. Sono rientrata a casa alle due, un po’ stordita dagli scambi filosofici sul senso delle amicizie, delle relazioni familiari e dell’amore a tutti i costi. In preda ad una fame insaziabile, ho fatto bollire l’acqua e ho scelto i fusilli, il mio formato preferito.

Poi Andrea, bello come il sole ed economo domestico perfetto, innamorato della sua lavatrice. <<Fermarsi ogni tanto a contemplarne l’oblò della macchina in azione>>, sosteneva con occhi pieni di passione, <<fa ritrovare se stessi ed azzerare tutti i pensieri infausti della quotidianità>>.

Infine il bacio da mollusco di Marco, che si dichiarava ormai stanco di scomodi viaggi in camper con gli amici del liceo. In netto contrasto con i coetanei, si riteneva un sognatore concreto e lungimirante. Prefigurava per sè, in un futuro claustrofobicamente prossimo, una casa invasa da pannolini e balocchi di almeno tre marmocchi. Co-protagonista del quadretto: una donna affaccendata in succulenti menù, ispirati al sacro ricettario che la dolcissima nonna gli aveva lasciato in eredità.

Dopo l’appiccicoso e fugace scambio di effusioni, ho deciso di scrivere una mail alla signorina Mara di Freccia di Cupido, l’addetta all’accurato lavoro di cernita e abbinamento settimanale di profili di candidati principi azzurri. Con professionale cordialità ho sospeso il servizio appellandomi ad una vaga necessità di “prendermi una pausa per motivi personali”. principe azzurroIniziò a sfiduciarmi non tanto il collezionare incontri con cavalieri sconosciuti che non mi suscitavano alcun interesse. In verità, ciò non faceva che confermarmi che la schiera di aspiranti principi non era molto diversa da quelli che si incontrano tutti i giorni, seppur sprovvisti della premessa di aver depositato il proprio papabile profilo negli archivi di un’agenzia matrimoniale.

Semplicemente ero terrorizzata dal racconto del giorno dopo. Il dettagliato rapporto che ero solita stendere a Stefania, una delle poche complici alla quale avevo avuto il coraggio di confidare che, per dimenticare Fabrizio, ero ostinatamente intenzionata a siglare un contratto biennale con Freccia di Cupido. Così, con Stefania, decidemmo di trascorrere un weekend a Londra, seppellendo il plotone di partner mancati insieme alla storia con Fabrizio. Era il momento giusto per il mio nuovo progetto editoriale e l’ambizioso corso di cucina dello chef del celeberrimo “Da Vittorio”.

A maggio, a poco meno di un anno dal debutto, la mia pubblicazione è stata battezzata dal Premio Bergamo con un inaspettato terzo posto. La cerimonia, tenutasi nel Ridotto del Teatro Donizetti, mi ha fatto tornare in mente il periodo in cui, più o meno con cadenza mensile, attendevo, nel parco annesso al teatro, l’incontro con un uomo di cui conoscevo solo pochi asettici e, per lo più, anagrafici dettagli, sperando che la cupidea freccia non facesse nuovamente cilecca.

Il libro mi aveva costretta ad una vita piuttosto ritirata, che mi concedeva solo uscite per le ricorrenze familiari, qualche rimpatriata con gli amici più stretti e in tutto un paio di aride avventure con partner già impegnati in altre stagnanti relazioni. Desiderosa di riprendere la mia ricerca del principe azzurro, un paio di settimane fa, rovistando nella rubrica della casella e mail, ho trovato l’indirizzo dell’agenzia e ho scritto alla signorina Mara. Insieme ai consueti convenevoli di circostanza, le ho chiesto di riattivare il servizio, aggiornando il mio profilo con un paio di dettagli che avrebbero reso più appetibile la mia candidatura.

Ora, guardando L’Eco di Bergamo, ripenso a giovedì quando per caso ho letto quella sconcertante sentenza pubblicata nell’ultima pagina dell’economia locale. Sotto l’articolo dell’ennesima filatura della Val Seriana che minaccia la cassa integrazione per i suoi operai, c’era un breve trafiletto che titolava “Freccia di Cupido: la rovina. La crisi non tocca solo il portafoglio, ma anche gli affari di cuore di centinaia di bergamaschi”. Divorato l’articolo ho compreso perché, trascorsi dieci giorni, la mia mail non aveva trovato alcun riscontro.

Ho preso il Huawei e con una selezione multipla ho costruito la lista degli aspiranti rubacuori e con due tocchi, a convalida della mia decisione, l’ho eliminata per sempre. Mi sono diretta verso il primo cestino in direzione Balzer. Ho buttato giornale e bottiglia e mi sono concessa un caffè marocchino, sfidando la seduzione dei dolci ordinatamente esposti nel banco pasticceria.

bridget jonesUscita da Balzer mi sono imbattuta nel programma Most Wanted! del Cinema Capitol. Stasera “Il diario di Briget Jones”. Un ottimo spunto per ricominciare. Guardo da lontano la mia panchina fronte laghetto. Ad occuparla c’è il padrone di un cane con il guinzaglio sotto braccio e lo sguardo che sembra vagare nel vuoto. Il suo vispo cucciolo ha due zampe sul bordo del piccolo specchio d’acqua e lo scruta come un novello predatore di pesci.

Mi avvio sotto i portici in direzione via Tasso. Se aspetto ancora rischio di perdermi l’inizio del film.

© Riproduzione riservata – Immagini da Pixabay

Freccia di cupido: la rovinaultima modifica: 2016-09-19T17:33:38+02:00da lesenedelase
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