Virginia ha un gran bisogno di mettere un po’ di ordine nella sua nuova vita. Negli ultimi mesi le sue giornate non hanno più un filo conduttore. Gli unici punti fermi: il lavoro e il pranzo della domenica con il padre. I soli spazi temporali fissi che non può toccare. Anche i pasti sono improvvisati. Nella pausa pranzo è diventato un rito fermarsi nel primo bar che trova, prendere una piadina al volo, per poi cercare un luogo tranquillo dove leggere. Legge molto in questo periodo.
La camicia bianca le ricorda quella che lei chiama la sua vita precedente. Fino a dicembre Virginia era una delle cinque teste del management dell’ufficio sviluppo. Gestiva quattro dei principali progetti di sviluppo aziendale. Poi a gennaio, nel giro di una settimana, si è ritrovata nei panni di un’operatrice del recupero crediti.
L’unica differenza rispetto ai colleghi del call center è che è tra i pochi eletti che incontrano i clienti vis a vis. Spedizioni in azienda e bracci di ferro, in cui ufficialmente si concorda un piano di rientro, di fatto li si mette alle strette senza mezzi termini.
Nella vita precedente Virginia era una donna impeccabile. Nel suo armadio i tailleur erano disposti secondo uno scrupoloso ordine cromatico. La varietà di colori spaziava dal nero ai diversi toni di grigio o blu. Lo stile era piuttosto semplice e rigorosamente classico. Le camicie tutte di colore bianco. Le scarpe solo decolleté, niente stivali e sneackers. Tolgono femminilità e grazia.
Il colore dominante in casa è il bianco: pareti, mobili, piatti e l’intera biancheria. Il bianco rilassa. Dissolve ogni preoccupazione di fine giornata. La mattina al risveglio il bianco fa sentire puri, nuovi, “freschi di bucato”. I colori possono confondere la mente, scatenare troppi pensieri ed emozioni.
Nonostante trascorresse la maggior parte del tempo in ufficio, non mancava mai agli appuntamenti settimanali dedicati alla cura di sé. Nell’ultimo anno era anche in cura da una dietologa per bilanciare dieta e metabolismo. Il lavoro le dava soddisfazione. Era ai vertici aziendali. Quello che faceva era importante per il futuro dell’azienda. Un posto di comando. Era continuamente sotto pressione, ma il rischio e il susseguirsi impellente delle questioni da risolvere le davano adrenalina. L’arroganza che spesso sfoggiava, seppur non appartenendo al suo temperamento, la faceva sentire forte.
Il quattro gennaio per Virginia cominciò una nuova vita. Nella mattinata l’azienda aveva presentato ai manager il nuovo piano aziendale. La crisi aveva inciso non poco anche nel loro settore. Il programma strategico prevedeva la chiusura dei principali progetti di sviluppo. L’azienda puntava in particolare sul ridimensionamento delle spese, ricollocando il personale presso l’ufficio di recupero crediti e riducendo i benefit.
Virginia trascorse i suoi cinque giorni di ferie natalizie immersa nelle faccende di casa. Al rientro restituì le chiavi della Mini aziendale, il blackberry e la tessera gold della palestra di Via Piemonte. Dopo due giorni di formazione si trovò catapultata nell’ufficio crediti, dove le venne consegnata l’agenda degli appuntamenti.
Nonostante disprezzasse quel lavoro, Virginia cercava di metterci tutta se stessa. Un giorno di febbraio trovò in agenda l’appuntamento con Veronica Bianchetti. Una collega del call center le disse che quello era un credito importante da recuperare e la cliente era piuttosto impegnativa da gestire.
All’incontro Veronica, una donna sui quaranta, si presentò con un abbigliamento piuttosto sportivo: jeans e piumino, felpa con una scritta di strass, boot stile Timberland. Virginia la guardò con aria interrogativa. Di solito i clienti erano talmente eleganti che sembravano invitati ad un matrimonio.
Veronica aspettò Virginia fuori dall’azienda, la fece salire sul suo Cherokee, che parcheggiò davanti all’American Bar di Corso Italia. Durante l’incontro Virginia non riuscì a parlare di alcun piano di rientro. Le aveva subito dichiarato che la sua azienda era sul lastrico e poi aveva abilmente mantenuto gran parte della conversazione su argomenti che non avevano nulla a che fare con il credito da recuperare.
Quando risalì in auto Virginia pensò all’American Bar: alle pareti colorate, alle fotografie dei Carabi, al jukebox si illuminava al ritmo dei pezzi che suonava. Poi pensò allo spirito caraibico che avvolgeva Veronica. Era felice, nonostante tutto, come se stesse vivendo il periodo migliore della sua vita. Durante l’incontro le aveva offerto un hamburger preparato da James, il barman e convivente, e aveva selezionato dei brani dal jukebox canticchiando qualche verso strofa di quei testi, per Virginia, incomprensibili.
Rientrando a casa Virginia si sentì di nuovo tranquilla e al sicuro nel suo bianco. Accese lo stereo e ascoltò qualche traccia del nuovo cd di Allevi. Le ricordava quando da piccola suonava il pianoforte da nonna Giulia.
Il giorno dopo al risveglio ebbe però una sensazione strana. Lì per lì non ci pensò. Fino a sera quando, rientrando a casa, capì che tutto quel bianco la opprimeva. Era come un’armatura che non le consentiva di sintonizzarsi con se stessa. Da quel momento percepì che non si sentiva pienamente viva.
Nei giorni seguenti studiò un nuovo piano del colore per il suo appartamento. In ogni stanza una parete venne dipinta con un colore accesso. Comprò lenzuola, vestiti e accessori colorati e via via cercò di eliminare il più possibile il colore bianco dalla sua vista. Il look diventò più casual. Il tailleur e decolté ormai la facevano sentire un ispettore dell’agenzia delle entrate. Cambiò le sue abitudini. Anzi decise di non avere più delle abitudini. Cercò di riempire il suo tempo libero con la lettura, la fotografia, il cinema e delle lunghe passeggiate nel parco. Riprese a frequentare più assiduamente il bar dove faceva colazione con Susy e Giorgia. Le trovò ancora lì che si davano appuntamenti fissi ogni settimana per l’aperitivo.
Aveva improvvisamente avvertito il bisogno di libertà, di creatività. Il bisogno di sentirsi. Si rese conto che gli ultimi anni della sua vita erano gravitati intorno al lavoro. E piano piano aveva soffocato se stessa. Concedendosi solo una maniacale e vuota cura di sé.
Il telefono riprese a vibrare. Di nuovo una chiamata di Paolo. Prima o poi avrebbe dovuto rispondere. Doveva dirglielo? Doveva accennare qualcosa? Non sapeva da dove iniziare a raccontare tutte quelle novità. Ripensò alla telefonata di ieri. I racconti e l’ironia di Paolo le facevano tornare il sorriso spensierato di quando era bambina.
Fra un paio di giorni sarebbe arrivato in Italia. Non si vedevano da quattro mesi. Dalla sera in cui lui l’aveva portata in un posto molto romantico e aveva ordinato dello champagne. Finalmente aveva chiesto ed ottenuto la gestione di clienti solo europei. Le sue trasferte d’ora in poi sarebbero state più brevi. Non aveva avuto il coraggio di dirle che questo significava per lui rinunciare a future possibilità di carriera e, molto probabilmente anche, una riduzione di stipendio. Voleva che tutto quella sera fosse bello. Le aveva chiesto di sposarlo. Virginia si era commossa, non se l’aspettava, ma non aveva esitato un istante. Il suo era stato subito un sì.
Era già la terza volta che Paolo chiamava stamattina. Era bloccata, non sapeva che dire. Riaprì l’armadio: la camicia bianca, i tailleur, la nuova borsa lilla. Si specchiò di nuovo. Non aveva mai fatto alcun cenno a Paolo della sua nuova vita.
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