La frenesia ha ripreso terreno nella mia vita e non va bene. Non capisco come, tra smart working e il rischio che ogni settimana si torni in zona rossa o arancio, la mia quotidianità non è cambiata molto. Anzi la zona gialla mi ha regalato qualche occasione di decompressione incluse un paio di fughe sul Monte Pora a camminare nella neve. Eppure da gennaio non ho più la sensazione di vivere in un’epoca di tempi e ritmi più umani e mi sento sommersa da strano carpe diem.
Se ci penso sembra davvero assurdo di questi tempi avere grandi occasioni da prendere al volo. Viviamo nel terrore di un lockdown totale come quello di un anno fa e con regole e incertezze che durano ormai da dodici mesi. Le ipotesi su quando si potrà andare oltre una vita appesa a statistiche di malattia e morte sembrano allontanarsi da noi di due passi ogni volta che ci illudiamo di averne fatto metà per avvicinarle.
Ma nell’aria, nelle persone ora io sento il furore di accaparrarsi qualcosa per sé come risarcimento. In alcuni negozi si compra come se si dovesse far scorta, provate ad andare alla ricerca di un paio di scarponi o di ciaspole! E anch’io mi rendo conto che ho fatto acquisti come se dovessi riempire lo spazio fisico intorno a me. Se penso che mi ero ripromessa di eliminare cose inutili e optare per una dimensione minimal e più leggera! Ma a quanto pare il protrarsi di questa libertà vigilata fa questo effetto.
Anche il modo di lavorare è cambiato, se all’inizio la preoccupazione era cercare di capire come svolgere il lavoro in modalità da remoto, ora mi sento tormentata da una certa insistenza e anche invadenza. Devi rispondere subito, risolvere in fretta. Ci sono capi e colleghi che ti modificano addirittura l’agenda, infilandoti in corsi e riunioni su temi un po’ lontani dal quello di cui dovresti occuparti. Il numero degli incontri online, senza motivo, è diventato un po’ eccessivo. E sono pochi i colleghi che come me provano ancora una certa forzatura nel mettersi in onda in formato video, anzi qualcuno sembra aver scoperto un bel palcoscenico.
La giornata di lavoro finisce senza che abbia neanche il tempo di fare il punto della situazione. A volte pranzo e intanto rispondo alle mail oppure salto la pausa dei trenta minuti all’aria aperta che mi ero ripromessa per spezzare mattino e pomeriggio. Ci può stare, per carità, non per questo casca il mondo! Ma per quanto cerchi di smaltire il più possibile, mi ritrovo a fine giornata e a fine settimana con la sensazione di aver accumulato più che ridotto. Oltre ad essere più stanca e nervosa quando spengo il pc ho la sensazione di non essere stata qui con me stessa, perché il tempo me l’hanno riempito gli altri.
Io credo che tra gli alibi che si nascondono dietro la pandemia ci sia una frenesia affamata e senza senso: tutti hanno fretta, tutti si aspettano risposte, come se inserissero richieste in una macchinetta.
Qualche giorno fa alla radio davano consigli su come difendersi dai rapporti lavorativi invadenti e squalificanti, a me è rimasto impresso il proteggi il tuo tempo. Nell’ultimo periodo mi sono lasciata trascinare dall’idea che in fondo questo è un tempo di lavoro e che non c’è molto altro. E fin qui nulla di grave, anzi fortuna che c’è il lavoro. Quel che non va bene è che mi sto adeguando ai modi altrui, ai tempi delle pretese più che delle richieste e io così rischio di togliere cura al senso umano delle relazioni, del tempo e del lavoro stesso.
Adesso che due mesi intensi sono passati così, ora che per un po’ sono stata al gioco e diverse cose le ho smaltite, devo riemergere da questa frenesia che più volte mi ha sommersa, lasciandomi un senso di delusione e il desiderio di sparire. Ora è tempo di fermarmi, mollare un attimo la presa e disconnettermi. Perché per me carpe diem significa trovare nicchie in cui posso proteggere il mio tempo e visto che ho da parte un po’ di giorni di ferie, ne ho preso qualcuno per ritrovare me stessa, per tornare a camminare andando alla scoperta di quel che c’è intorno. E già questo mi dà pace, il resto ve lo racconterò quando torno.
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